"Lo swing in ogni cosa della vita"

Intervista a Giorgio Cùscito

Giorgio Cùscito è un musicista dall’età di undici anni: vibrafonista (vincitore del Jazzit Awards nel 2010), sassofonista, pianista, un polistrumenista…tutto “ista”, insomma. Ah no, è anche compositore e arrangiatore, e…fa swingare la gente di brutto. A Roma, dal 2014, è conosciuto come l’Ambasciatore dello Swing, ma anche tutta Italia lo chiama così. Cùscito è leader di un sacco di bands (Swing Revisited, Rare Ellington, Eagle Quartet, ecc, ecc), e ha suonato con nomi davvero altisonanti e in numerosissimi progetti musicali. Lo vediamo negli “Swing Maniacs” di Renzo Arbore, e come creatore e promotore dell’Open Swing Lab di Roma, al quale parecchi musicisti si affidano per appronfondire la conoscenza dello swing e del jazz. Eh, “mica bruscolini!”, come si dice a casa nostra.

Poi, sempre Giorgio Cùscito, è venuto a trovarci con la sua fantastica “Swing Valley Band” durante una ridente serata di marzo, dove l’energia dei musicisti e quella dei ballerini si sono letteralmente fuse. Anche Giorgio balla, e divulga con piacere sia il lindy hop che il mondo che lo circonda. Per esempio, si è partecipato ad una sua lezione di “musicality” e, per esempio, ne abbiamo approfittato per fargli ulteriori domande e toglierci almeno dieci pulci dall’orecchio.

Cominciamo con una domanda a bruciapelo: perché si chiama swing? Cosa provoca l’effetto dondolante di questa musica?

Premesso che lo swing è “il jazz che si balla”, l’effetto swing è dato da una elasticità dell’esecuzione. Non basta suonare “musica swing” per dare la sensazione di elasticità che comporta l'”avere swing”: occorre che gli esecutori siano in grado di suonare con EMPATIA. Ovviamente, empatia fra loro e anche con i ballerini! Questo e solo questo dona all’esecuzione l’elasticità necessaria: lo swing.

Si dice che lo swing e il jazz (più in generale) non si possono scrivere su un pentagramma. Come ci spieghi questa particolarità?

Non è vero che il jazz non si scrive -e tanto meno lo swing, che era una musica per lo più ORCHESTRALE e quindi per forza di cose organizzata-. Però è verissimo che non si può rendere su carta l’effetto “elasticità” di cui parlavamo prima.

Durante la tua lezione di musicalità, ci hai illustrato come la struttura generica di un pezzo swing si formalizza attraverso la presenza di “atmosfere”, ordinate secondo lo schema AABA, dove le A esprimono sensazioni statiche e sicure, mentre le B mutano l’equilibrio e la dinamicità del brano. Cosa succede se usciamo dallo schema? Ad esempio, come riconosciamo le differenze tra una struttura blues e una swing?

Ovviamente si possono riconoscere atmosfere diverse in ogni brano, ed esistono brani costruiti con una struttura diversa da quella canonica AABA: ho preso questa ad esempio, solo perché era la più diffusa. Non pretendo che i ballerini stiano a pensare alle strutture delle canzoni mentre ballano, ma quello che mi interessa è esortare chi balla ad aprire le orecchie durante la serata. Prima delle strutture ci sono tante cose a cui fare caso, ad esempio se un brano è di atmosfera smagliante oppure sorniona: ecco, spero che un ballerino sviluppi la capacità di connettersi all’atmosfera generale del brano e che non interpreti – ad esempio – un’atmosfera sorniona con un ballo “supersmagliante” e viceversa. Un brano blues lo si riconosce, prima che per la sua struttura, più che altro per un’atmosfera che definirei vagamente rassegnata.

Ci hai spiegato anche come esistano brani musicati in tonalità maggiore e brani in tonalità minore, come il blues per esempio. Questi due “margini emozionali” (se così possiamo descriverli), possono coesistere nello stesso brano? È possibile, ad esempio, incontrare la struttura AABA nella quale troviamo A in tonalità maggiore B in tonalità minore?

Certamente ci sono brani in cui coesistono atmosfere maggiori, e cioè positive, solari, affermative, e atmosfere minori, tristi, più composte. Basta seguirle durante il ballo, ed interpretarle col corpo. Nei brani blues addirittura le due sensazioni sono sovrapposte -con un’alchimia musicale “tecnica” che non sto a spiegare qui, ma che li rende estremamente interessanti e avvincenti da ballare-.

Sappiamo che sei anche ballerino di lindy hop da diversi anni. Da musicista e ballerino, potrai darci qualche dritta per improvvisare al meglio in pista! Giorgio, come facciamo a capire quando è il caso di ballare balboa piuttosto che lindy hop (o viceversa) su un pezzo swing?

Sentirsi liberi di improvvisare è FONDAMENTALE sia nel jazz suonato che in quello ballato! Beh, il primo consiglio che posso dare è di essere più rigorosi durante le esposizioni dei temi, e più liberi durante un assolo improvvisato per esempio (visto che anche la musica in quel momento prende una strada più imprevedibile). Interagire col solista può essere una strada verso la libertà espressiva. I migliori solisti vengono ispirati dai vostri exploit, quindi la cosa è reciproca! In ogni caso si cresce insieme. Balboa vs. Lindy? Non la metterei così, dico solo che i brani più esplicitamente swing -quelli delle orchestre di Harlem ad esempio, come quelle di Chick Webb, Fletcher e Horace Henderson, Jimmie Lunceford, Lucky Millinder e poi i vari Count Basie, Jay McShann- nascevano proprio nei contesti in cui si ballava il lindy hop, il Savoy Style per intenderci. Ascoltate il contrabbasso come suona tutti i beat con potenza!! Tutti e otto i tempi hanno la nota bassa che domina il ritmo. Il balboa lo si può ballare con grande soddisfazione su brani di stile diverso, più veloci e col contrabbasso che suona solo il primo e il terzo beat, e non tutti i beat. Il dixieland direi che è perfetto, sia di New Orleans che di Chicago.

Durante una tua precedente intervista, per uno speciale del TG1, hai dichiarato di aver incontrato Frankie Manning, il quale ti ha mostrato il “vero swing”. Ci racconti qualcosa di questo episodio?

Fu una specie di illuminazione sulla via di Damasco, in effetti. Nel 2005 (per i miei primi 40 anni) mi ero regalato un viaggio a New York con un amico, e un giorno, un pomeriggio, incontrammo sulla metro un signore molto anziano, sorridente, simpatico e con le scarpe bicolori. Aveva proprio un’aria swing!! Lo notammo, commentammo positivamente la simpatia del tizio e passammo oltre. Dopodiché, per la serata, io e il mio amico ci perdemmo di vista e io mi ritrovai a vagare per la città senza meta. Così, capitai davanti a un locale che si chiamava Swing 46, non ci pensai un attimo ed entrai. C’era una meravigliosa big band -la Harlem Renaissance Orchestra- e un parterre di “ragazzi” sui novant’anni che ballavano il lindy! Bene, ero felice. Ballavo il lindy già da due o tre anni. Durante l’intervallo dell’orchestra una giovane insegnante si presentò e fece una lezione di Shim Sham. Mi divertii moltissimo ad imparare quei passi, ma a un certo punto entrò un signore che prese in mano la direzione dell’orchestra, e si mise a ballare lo Shim Sham: era Frankie Manning (ed era quel signore che avevo incontrato sulla metro poche ore prima)! Ciò che mi colpì fu sostanzialmente la DIFFERENZA fra i passi imparati un attimo prima e la SUA interpretazione di quei passi. Ebbi modo di VEDERE il jazz, non mi era mai successo prima! Fu come sentire prima un clarinettista di musica classica e subito dopo un clarinettista jazz. Il risultato di questa esperienza sconvolgente fu che, tornato a Roma, cambiai strumento (ero pianista) e decisi che avrei dedicato la mia vita e la mia musica all’incontro fra jazz e ballo.

Un’ultima domanda: col cuore in mano, che cos’è per te lo swing? 

Lo swing è semplicemente: relax che non esclude l’efficacia. Spero di avere swing in ogni cosa della vita.

 

Giorgio Cùscito e Fosca

 

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